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Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2019 - Anno: 25 - Numero: 3 - Pagina: 54 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

OLIO EXTRA VERGINE D’OLIVA - PRODUZIONE

Letture: 1300               AUTORE: Giuseppe Menniti (Altri articoli dell'autore)        

I lettori mi consentiranno prima di entrare in merito al complesso dell’argomento, di parlare di
quello che è il valore, il sapore del prodotto.
Tutti o quasi siamo a conoscenza che un frutto non maturo non dà mai sapore di gusto e un’extra
qualità: solo sapore d’acerbo. Parlando di olio extravergine d’oliva, il prodotto si ricava dalla macinatura
delle olive come se fosse una spremuta, messo alla pressa azionando pian piano manualmente
in modo che l’olio non subisca riscaldamento e alterazione con perdite delle sostanze nutrienti.
Questo era il lavoro che si faceva nel nostro paese nel ventesimo secolo e ancora prima, che
io ricordi quando ero bambino, tra il 1940 il 1965, ma ancora prima per conoscenza delle storie
raccontatemi dai miei genitori e da persone anziane di quei tempi.
La raccolta delle olive iniziava dopo la commemorazione dei defunti e a volte s’inoltrava fino
al mese di marzo; si raccoglieva tutto manualmente, non esistevano né mezzi meccanici né frantoi
elettrici: il frutto cadeva con la sua maturazione, il vento, la pioggia.
Le olive che non cadevano, per farle cotulàra, c’erano delle persone esperte che con i virgànti
(lunghi pali sottili di legno di castagno) facevano vibrare i ramoscelli; i Curramatùri erano dei
contadini specializzati.
A quei tempi nel territorio di Badolato vi erano molte piantagioni d’olivo. Tutti (contadini,
artigiani, professionisti, commercianti) s’impegnavano per la produzione dell’olio; chi non aveva
ulivi, prendeva in affitto dai feudatari o proprietari benestanti porzioni di piantagione per procurarsi
dell’olio per la famiglia: per tutti, questo era l’oro giallo.
Ogni frantoio riusciva a soddisfare non più di 10 - 12 clienti al giorno; in ogni frantoio vi
lavoravano 5 - 6 operai, dalla mattina alle 4 fino alla sera alle 22. Vi era un capo che faceva da
Massàru. Dai clienti andavano a prendere le olive tre operai che con sacchi lunghi portavano sulle
spalle circa 70 kg di olive. Un altro operaio era invece addetto alla guida dell’animale che azionava
la gira della macinatura (la gira era una rotatoria con una grande pietra orizzontale al centro); due
persone poi erano addette all’insaccamento della pasta nelle coffe. Ad alternanza, uno di questi
operai, eccetto il Massàru, portava ai clienti l’olio prodotto.
Ogni frantoio era così composto:
la gira, con al centro un albero maestro dove erano collegate con un asse di ferro, in posizione
verticale, due o a volte tre ruote sempre di pietra per frantumare e macinare le olive. La gira veniva
azionata da cavallo, mucca, o mulo, tutto il giorno senza interruzione; quando le olive già macinate
erano diventate pasta, la si faceva colare in una vasca in cemento con delle pale collegate alla
stessa gira. Due persone infilavano la pasta nelle coffe messe in un piedistallo a tre a tre separate da
un disco d’acciaio. Completata l’incoffatùra, questo piedistallo veniva posto in una posizione dove
doveva scendere l’olio. Alla pressa veniva installato un torchio manuale che lentamente pressava le
coffe. Alla base c’era una grande tina di legno, posta interrata, dove scorreva l’olio misto ad acqua
(acquàzza). Una volta che il torchio era giunto alla massima pressione, si lavava con acqua tutto il
sistema, si dava il tempo necessario alla separazione olio-acqua, e il Massàru, con un contenitore
chiamato litra (pari a 3,75 litri), incominciava a togliere l’olio dalla tina. Quando si stava per raggiungere
il più basso livello dell’acqua, per togliere l’olio residuo il Massàru adoperava la manna
(la cima di una canna a forma di scopino).
Le olive erano tante in Badolato, i frantoi non di meno; di séguito un elenco di frantoi attivi tra
il 1920 e il 1970, relativi proprietari e ubicazione:
- Gallelli Mosè (Rofanèhṛu) - Via Siena (Pilèri)
- Andreacchio Giacomo (Pintu), Gallelli Mosè - Corso Umberto (Fontana ’e Jàpacu)
- Parretta Vincenzo e Pietro (Giudice) - Via Corsica (sotto vecchia Caserma Carabinieri)

- Fratelli Gallelli (Sussuriùsi) - Via Adamo (poi gestito da Ciccio Menniti)
- Barone Gallelli - Via Adamo (poi gestito da Leuzzi Giuseppe Castehṛànu)
- Barone Gallelli - Villa Pietranera
- Barone Paparo - Via Mare e Via Nazionale (gestito da veterinario Caporale e R.le Gallelli)
- Geometra Anoja - Via Giardino
- Don Rosario Gallelli (u Babbu) - Vico Gallelli
- Don Mico Caporale - via Regina Margherita, sotto vecchia Posta
(gestore anche Antonio Gallelli (Pputtàna Vecchja)
- Ciccio Peltrone (Ricciu) - Via Castello
- Menniti Domenico (Ciurma) e figlio Pietrino - Via Lepanto
- Farmacista Bressi e Caporale - Via Roma
- Notaio Vincenzo Gallelli - Via Roma
- Dottor Giuseppe Gallelli (Sussuriùsu) - Via Roma
- Don Nino Scuteri (Taverna) - Via Giacomo Leopardi
- Donna Teresina Gallelli e nipote farmacista - Via San Nicola
- Famiglia Scuteri (giudice e dottore) - Via San Domenico
- Lentini Antonio (Muscatèhṛu) - Via Adamo (Chjianu de’ Brei)
- Menniti Vincenzo e figli (Ciurma) - Via Carmine
Tutti questi frantoi lavoravano a freddo; non c’erano macchinari né il separatore ad alta velocità,
non c’erano tubazioni a spinta con pressione. Non esistevano macchine ad elevata caloria per la
separazione olio-acqua. L’olio era prodotto a colata, puro e vergine.



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